Nella regione dei grandi laghi dell’Africa equatoriale, stretta tra Kenia, Sud Sudan, Ruanda, Congo e Tanzania, la Repubblica presidenziale dell’Uganda, affacciata sul grande lago Vittoria – il secondo al mondo per estensione – è oggi popolata da circa 50 milioni di abitanti che parlano Swahili e Inglese e appartengono a una dozzina di etnie diverse. La religione più diffusa è quella cattolica (85%) seguita dall’Islam (13%), e altre espressioni religiose assai minoritarie.
Già parte dell’antico regno africano di Buganda, risalente al XVI secolo, dopo la fase di Protettorato Inglese, instaurata sulla scia del commercio arabo di avorio e schiavi alla fine dell’Ottocento, il paese ha ritrovato l’indipendenza nel 1962, e da allora ha conosciuto fasi alterne di sviluppo e regresso tra la dittatura brutale del generale Idi Amin “Dada” Oumee negli anni ‘70, la guerriglia interetnica e i colpi di stato portati avanti dal Movimento di
resistenza nazionale NRM guidato dall’attuale Presidente Museveni.
Il suo governo si protrae ormai dal 1986 tentando fra molte contraddizioni di favorire lo sviluppo di un grande paese con risorse ancora non sfruttate e le ambizioni di stranieri invadenti e molti gruppi etnici differenti.
L’Uganda come altri Paesi dell’Africa tropicale ed equatoriale sta conoscendo uno sviluppo economico e sociale che è favorito dagli investimenti esteri attratti dalla prospettiva di sfruttamento dei consistenti giacimenti di petrolio del sottosuolo. Oggi rispetto al passato le condizioni alimentari e sanitarie della popolazione sono senz’altro migliorate, ma in conseguenza della recente sospensione di molti aiuti della comunità internazionale, procede con grande lentezza l’implementazione delle cure e dei servizi relative a patologie specifiche tropicali che restano quindi parecchio diffuse nella popolazione africana.
E’ il caso delle patologie oculari come cataratta, glaucoma, tracoma, oncocercosi, retinite pigmentosa e retinoblastoma che, per la povertà diffusa e la difficoltà di accesso alle cure, esitano in una discreta percentuale in ipovisione grave e cecità completa che determinano una gravissima disabilità sociale e lavorativa all’interno della popolazione. Il numero di Ugandesi con problemi visivi è stimato in 1.200.000 persone, di cui 250.000 affetti da cecità assoluta.
Oggi la situazione dei ciechi e degli ipovedenti in Uganda rimane complessa e difficile, caratterizzata da una forte necessità di servizi, nonostante il Governo ugandese abbia adottato politiche e leggi in linea con gli impegni internazionali, come la ratifica della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (CRPD 2008).
La disabilità visiva in Uganda pone sfide significative, prevalentemente correlate alla povertà e alla mancanza di accesso reale alle cure sanitarie. Le regioni più povere come il Nord Uganda registrano un'incidenza molto alta di disabilità visive altrimenti evitabili, come il tracoma e la cataratta. Si stima che circa il 75% delle disabilità visive sia risolvibile con la prevenzione o un trattamento tempestivo, ma la scarsità di oftalmologi e personale sanitario formato e di centri sanitari attrezzati rappresenta un ostacolo insormontabile per molte persone.
Nonostante i progressi legislativi, lo stigma sociale è ancora diffuso. In alcune zone rurali, avere figli con disabilità può portare a discriminazioni e all’emarginazione della famiglia, e i non vedenti sono spesso erroneamente considerati come mendicanti o visti con pregiudizio. Per questo le famiglie, prigioniere del fatalismo e dei pregiudizi sociali, finiscono per nascondere e relegare i propri famigliari ipovedenti nelle case, limitando moltissimo la loro agibilità sociale, condizionata tuttora dalla inesistenza di infrastrutture prive barriere architettoniche e mezzi di trasporto accessibili agli ipovedenti.
Relativamente all’accesso all’Istruzione poi, molti bambini non vedenti entrano a scuola con anni di ritardo o vengono tenuti a casa, poiché le famiglie non credono nella loro capacità di condurre una vita autonoma o di beneficiare dell’istruzione. Di fatto nelle
scuole di villaggio ma anche della capitale sono pressoché assenti le apparecchiature e le macchine per la scrittura in linguaggio Braille e non ci sono docenti formati alla comunicazione Braille.
Gli ospedali in genere sono pochi e quindi logisticamente lontani dai villaggi e i centri oftamologici si trovano quasi solo nella capitale Kampala, sita nel sud del paese. Le strutture sanitarie, educative e in generale tutti gli ambienti pubblici dell’Uganda sono di fatto inaccessibili alle persone con disabilità visiva.
Recentemente il Governo ugandese ha preso impegni e stanziato provvidenze per favorire l’inclusione della popolazione con disabilità visiva, spesso in stretta collaborazione con organizzazioni non governative (ONG) internazionali e locali. Nel 2008 l’Uganda ha ratificato la CRP, impegnandosi formalmente a garantire alle persone con disabilità gli stessi diritti degli altri cittadini. Ad esempio attraverso il programma Expanding Social Protection (ESP), eroga una pensione sociale alle persone anziane sopra i 65 anni, e attraverso la collaborazione con alcune Organizzazioni non Governative offre esami della vista gratuiti agli anziani che ritirano la pensione, identificando e indirizzando i casi a rischio per cataratta o tracoma. Il Ministero della Sanità ugandese collabora con ONG internazionali come CBM – Christian Blind Mission e Medici con l’Africa Cuamm per lanciare progetti dedicati alla salute visiva, con obiettivi di prevenzione, formazione del personale sanitario e potenziamento delle strutture ospedaliere in aree critiche.
In sintesi, mentre il quadro legislativo esiste e il Governo sta implementando programmi mirati, specialmente per la fascia anziana e la prevenzione, la fornitura di servizi essenziali sanitari, educativi e riabilitativi per i ciechi e gli ipovedenti è ancora largamente insufficiente e spesso lasciata al supporto cruciale delle ONG internazionali e delle organizzazioni comunitarie di base.
E’ in questo contesto che si inscrive anche il recente viaggio in Uganda del nostro concittadino comasco Francesco Palmese, di 84 anni, un veterano della attività sindacale e del volontariato sociale nella nostra città, che oggi vive in prima persona la condizione di anziano affetto da cecità assoluta. Come ambasciatore e delegato della sezione comasca della Unione Italiana Ciechi, UIC che riunisce in associazione circa 300 ciechi e ipovedenti della nostra provincia, Francesco è volato in Uganda e per oltre due mesi si è speso in attività di sensibilizzazione e formazione nei villaggi, incontrandosi anche a livello istituzionale con i responsabili civili e religiosi delle varie comunità locali per promuovere la condizione delle persone con disabilità visiva.
Ma sentiamo dalla viva voce di Francesco alcuni dettagli di questo viaggio – certamente un po’ rocambolesco ma dal fragrante sapore della solidarietà – un viaggio inconsueto in un paese che non è scontato che un cieco comasco dalla bella età di 84 anni, abbia – tra le sue priorità – deciso di raggiungere “Prima di andare in pensione ho lavorato all’Economato della storica RSA Ca’ D’Industria in via Brambilla a Como, e vi ho svolto per anni anche una intensa attività sindacale come delegato interno CGIL. Fu in quel periodo che conobbi suor Patricia, missionaria di origine ugandese in servizio anche lei nella nostra RSA.
Passeggiando un giorno in pausa pranzo con lei sul lungolago e parlando della condizione dei ciechi in Italia – io avevo già avvisaglie del mio grave problema visivo – la giovane suora mi raccontò una storia che aveva dell’incredibile, quella di una bambina, Ester, che la famiglia in Uganda aveva rifiutato all’età di tre anni perché cieca. La bambina era stata abbandonata dai parenti in una cesta in balìa delle acque di un fiume e da questo trasportata fino ad arenarsi in un canneto dove, fortunatamente, fu ritrovata e salvata da un pastore locale, che la affidò poi alle cure di suor Patricia.
Quella storia mi colpì profondamente.
Dopo il rientro in Uganda della missionaria, rimasi in contatto con lei, che nel tempo mi informava sulla condizione dei ciechi nel suo paese. Fu così che mi venne in mente di attivare una forma semplice di solidarietà: fare venire due persone cieche qui da noi in Italia per un periodo di tempo utile ad apprendere alcune competenze indispensabili agli ipovedenti gravi.
Furono scelte per il soggiorno italiano proprio Ester e un’altra ragazza, Annette, che per nove mesi sono state ospitate a cura dell’Unione Italiana Ciechi comasca presso un istituto di suore. A Como dunque, grazie alla mobilitazione di tanti volontari dell’UIC, le due ragazze hanno avuto modo di apprendere il linguaggio Braille, l’utilizzo di alcuni ausili per ciechi come il bastone bianco elettronico “intelligente”, l’orologio “parlante” e le competenze basilari per l’utilizzo del computer da parte di non vedenti.
Anch’io due volte alla settimana mi son messo a disposizione di Ester e Annette per motivarle e facendomi promettere che dopo il loro rientro a casa si sarebbero prodigate per insegnare queste nuove competenze ad altri non vedenti ugandesi. E questo di fatto si è poi realizzato, e le ragazze hanno mantenuto la promessa, ma tra grandi difficoltà, nonostante il vescovo della città di Lira, nel Nord del paese e lontano dalla capitale, avesse messo a disposizione una piccola “scuola” di tre locali, un po’ fatiscenti, per gli studenti.
In seguito sono stato sollecitato nuovamente da suor Patricia a farmi vivo per “smuovere un po’ le acque” e allora mi son deciso ad andare personalmente giù in Africa, per incontrare di persona alcuni gruppi di non vedenti in diverse località e per motivarli a riunirsi e costituire un vero e proprio soggetto associativo, che rappresenti i diritti degli ugandesi non vedenti e sia un punto di riferimento capace di avere maggiore incisività politica e un rapporto efficace con le Istituzioni competenti per la Disabilità.
Così qualche mese fa sono volato in Uganda e lì sono rimasto per oltre due mesi prendendo contatto con una cinquantina di ciechi che si impegnano adesso come soci attivi in una vera e propria Associazione, con un direttivo alla cui presidenza è stato eletto Mosè.
Durante la mia permanenza lì per sensibilizzare i cittadini abbiamo organizzato una “Cena al Buio”, con le bende sugli occhi degli ospiti per condividere l’esperienza della cecità durante una funzione normale della vita come quella del pasto quotidiano. Ho girato vari
villaggi, incontrando consigli comunali, sindaci e tanti ragazzi nelle scuole. A Kampala, sulle sponde del gigantesco Lago Vittoria – il secondo più vasto al mondo – ho visitato anche alcuni imprenditori per sensibilizzarli sul tema del lavoro per non vedenti: come
Unione Italiana Ciechi avevamo infatti alle spalle la bella esperienza della visita in Ukraina, prima della guerra, dove abbiamo visitato le “Fabbriche dei ciechi” dove dal direttore all’operaio sono tutti ipovedenti gravi. In queste fabbriche progettate “a rischio zero” sono impiegati ad esempio nella produzione di utensili in plastica stampata centinaia di persone con disabilità visiva. Ci sono vari modelli virtuosi nel mondo che meritano di essere conosciuti e “clonati” per favorire l’inserimento sociale dei non vedenti.
Ora il progetto ugandese è andato definendosi meglio e non poteva che chiamarsi Guardare lontano. Nel frattempo abbiamo già spedito ai nostri nuovi amici africani qualche centinaio di attrezzi e ausili che miglioreranno la loro quotidianità.
Grazie al successo di questo primo progetto pilota, ora l’intenzione della UIC comasca è di replicare l’esperienza in Tanzania, dove uno dei nostri soci più attivi, Domenico Cataldo ha già dei referenti: spero di recarmi prossimamente anche in quel Paese e a tal fine stiamo organizzando un grande concerto a Como per raccogliere fondi per il materiale e gli ausili che intendiamo spedire laggiù.
Se le forze mi sosterranno ho ancora un altro sogno nel cassetto: recarmi anche in Ruanda, un’altra realtà molto bisognosa rispetto al tema della disabilità visiva della sua popolazione.”