Voglio esprimere il mio pensiero sulla questione della distribuzione della ricchezza in Italia; ovviamente dico Italia perché è la realtà che credo di meglio conoscere, ma varrebbe per tutte le economie capitalistiche, più o meno mature.
“AFFAMARE LA BESTIA” era la parola d’ordine dei circoli reaganiani. Direi che la cosa si aggancia molto bene alla realtà descritta dalle considerazioni di ISTAT e Banca Italia di qualche giorno fa. A questi pronunciamenti, circa la natura regressiva della manovra economica del governo, mi aggancio io per dire che sono totalmente contrario alla strategia adottata, non solo da Meloni, per rivalutare i redditi; sono contrario a questo modo di agire sulla leva fiscale. Con ogni evidenza, i redditi medio bassi sono integrati da irrilevanti decine di euro annui. I rilievi di ISTAT e Banca Italia, pure importanti, a mio giudizio sono “monchi”, e qui attendo opinioni, anche critiche, su quanto andrò ad esprimere. Credo che questa modalità di operare su aliquote, cunei ecc. oltre che inefficace, alla lunga vada a generare un prosciugarsi del gettito fiscale che dovrebbe alimentare il nostro stato sociale, nella sua articolata complessità. Tutto questo, inoltre, avviene sotto una cappa di demagogia letale: “ma come, ci mettono in tasca pochi euro, certo, ma vogliamo lamentarci?” Dentro questa logica, anche la CGIL fa fatica a produrre non più di qualche flebile critica. Intanto la sanità si eclissa sotto il nostro naso, e nulla succede. Non la si taglia, la si “definanzia”. Ecco che torna l’affamare la bestia, strategia ricca di modalità e gradualità. Dicevo che questa deriva precede l’attuale esecutivo. Insomma, o si propone una seria riforma fiscale, fatta di ragionata vera progressività, magari anche semplificazione, oppure “auguri a tutti”. Assisto a un dibattito avvilente su una questione, insieme ad altre dirimente, per stabilire cosa vorremo essere.
La stessa proposta di salario minimo, che pure condivido, posta come lo è stata nell’ultimo paio di anni, e come continua ad essere posta, appare un po’ estemporanea. Rimanendo il quadro del mercato del lavoro quello che è, la selva di pseudo contratti e rapporti assortiti (un campo minato di tagliole studiate per assoggettare il lavoro), l’equilibrio di rapporti di forza, credo che il salario minimo rischi certamente di diventare il tetto dei prossimi venti anni. Su quel quadro la politica deve intervenire. Circa un anno fa , ho sentito Pierluigi Bersani affermare che il mercato del lavoro attuale va “sbaraccato”, credo si fosse espresso proprio così. Potrebbe essere d’accordo anche un liberale, di quelli veri, con un po’ di spirito popperiano. Rianimare un po’ di dialettica sociale, non significa prospettare le barricate, c’è cultura del conflitto e cultura del conflitto. Non credo che bassi salari e il fatto che l’Italia, checché se ne dica, sia uno dei paesi europei dove meno si sciopera, siano fattori estranei uno rispetto all’altro.