La Scuola e la Civitas: decentramento scuole superiori

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La Scuola e la Civitas: decentramento scuole superiori

La Scuola e la Civitas: insensato progetto di decentramento degli Istituti Superiori.

  Io ho un bel ricordo dei miei anni di Liceo a Como, qui in città. Eppure erano gli anni ’70, tempi complicati, crisi economica, sociale e energetica, dure lotte di classe e terrorismo per le strade, incertezza e forze oscure e contrastanti, che sembravano tutte voler sovvertire l’ordine costituzionale di una Italia ancora un po’ ingenua e sorpresa da tanta violenza.

Ma da ragazzi, si sa, tutto è più leggero, e ci sembrava comunque di poter affrontare qualunque cosa, stando insieme nella nostra scuola, nella nostra città, nelle nostre strade, con buoni professori, educatori attenti, impegnati nel farci crescere.

Il Liceo Scientifico era in Via Rezia, ci si arrivava a piedi, o con i mezzi pubblici, o in motorino, e in quegli anni, per l’aumento notevole degli iscritti, la sede fu spostata al Seminario Maggiore, in via Sirtori, ancora più vicino alle mura della città antica. All’uscita di scuola molto spesso si tornava a piedi insieme, camminando per il centro o lungo i viali alberati. Passando magari davanti alla sede di qualche altra scuola o liceo, dove altri ragazzi e ragazze uscivano e riempivano di giovinezza le vie e la città.

Ma proprio negli anni ’70, la crescita degli iscritti nelle scuole professionali comasche (l’ Istituto Nazionale di Setificio, e l’Istituto Tecnico Magistri Cumacini, istituzioni importanti di formazione tecnica dell’industria comasca), costrinse a decentrare le sedi, per necessità di ampliamento non più prorogabili.

Bisogna tuttavia ricordare che negli anni 70 a Como non esistevano ancora ampie aree urbane dismesse da recuperare, e che molti studenti delle scuole professionali venivano da paesi e località esterne alla città.

Perciò fu un po’ gioco forza decentrare le scuole dove le aree disponibili permettevano di andare. Il Setificio alle pendici del colle di San Martino, e La Magistri Cumacini nella piana di Lazzago. Se per il Setificio la scelta fu ancora accettabile rispetto alla vita della città, per la Magistri Cumacini fu comunque uno decentramento traumatico, sia per gli studenti che per i docenti, in una situazione di forte isolamento che perdura anche oggi.

Per queste ragioni ha quasi dell’incredibile sentire che oggi la Provincia e il Comune di Como ipotizzino e auspichino il decentramento, o meglio il “concentramento” (con quella accezione negativa che tutti conosciamo) delle scuole superiori nelle strutture inutilizzate dell’ospedale psichiatrico al colle San Martino.

E questo programma viene definito genericamente “Campus Studentesco”, cosa che nessuno in città si sogna di chiedere, e che dopo la fuga del Politecnico di Milano da Como (ennesima occasione perduta dalla politica locale), potrebbe caso mai avere a un senso nel riordino delle sedi universitarie cittadine, attualmente sparse qua e là in edifici spesso inadeguati e poco funzionali, a parte la sede di Sant’Abbondio e quelle di via Valleggio (il Setificio).

Bisogna ammettere che la fantasia dei politici che lanciano proposte così inappropriate e inutili, facendole passare per interventi necessari alla città, ha qualcosa di sorprendente e solleva dei seri dubbi sulla buona fede di chi è stato eletto per fare l’interesse pubblico, ma sembra averlo totalmente dimenticato. E tutto questo in una città che di tutto ha bisogno tranne che di spostare i suoi istituti scolastici superiori dalle loro sedi attuali!

E’ un grave errore e una costosa follia, che può nascere solo da una amministrazione provinciale di politici e burocrati senza storia, senza una idea di città né di valori urbani collettivi.

Il modello anglosassone del Campus esterno è una formula funzionalista aliena e anti-urbana, creata per luoghi diversi dalle nostre città, per ambienti e culture dove il decentramento perseguiva logiche funzionalistiche e di mobilità diverse, oggi totalmente superate.

Ma anche provando a ragionarci sopra, quali sarebbero i vantaggi collettivi di questo “sradicamento” delle sedi scolastiche dalla trama della città? Quali i risultati positivi di un programma così insensato per la collettività? E il destino degli edifici scolastici urbani attuali? A cosa e a chi vogliamo destinarli una volta che saranno diventati inutili?

Le risposte possono essere diverse, ma chissà perché mi viene in mente il decentramento dell’Ospedale Sant’Anna, trasferito altrove in vista di un vasto progetto immobiliare sulle sue stesse aree, con tanto di parcheggio pubblico nella Valmulini, pagato dalla collettività, realizzato e ora quasi del tutto inutilizzato.

Oppure  rivedo il triste e insensato progetto comunale del 2020 per lo spostamento del Municipio alla ex-Ticosa, solo dall’altra parte della città, in modo da lasciare l’area di Palazzo Cernezzi disponibile ad operazioni di altra natura.

Spostare altrove edifici che costituiscono funzioni urbane vitali e di servizio alla comunità, svuota la città del suo senso perenne di luogo dell’incontro e dello scambio collettivo.

Una città che svende la sua identità pubblica è destinata a perdere la sua identità sociale, a trasformarsi in un grande centro commerciale, a diventare il fantasma di se stessa.

Le scuole superiori sono da sempre un valore storico e sociale di nostri centri urbani, ed è nella città che portano ogni giorno vita, identità civile dei giovani, ricchezza vitale nella loro formazione di cittadini, continuità di relazioni urbane. Sono una presenza importante e integrata nella vita cittadina, sono parte di un tessuto civile e empatico che rende forte l’identità civica delle città e dei suoi abitanti.

Ed è proprio quello che è in questo tempo incerto è sempre più necessario, in una società che ha messo al primo posto l’individualismo e la separazione delle persone dalla loro comunità, da quella CIVITAS che noi invece riteniamo ancora essere la ragione profonda della nostra società civile.

Il decentramento degli Istituti Superiori è un programma insulso, costoso e con evidenti future conseguenze sull’assetto sociale della città. COMO CITTÀ PUBBLICA è ciò che va mantenuto e arricchito, ma non sembrano comprenderlo gli eletti che dovrebbero occuparsi di migliorare la qualità della vita cittadina.

Sembra proprio che Como sia sotto un maleficio politico-amministrativo che perdura e continua a creare danni, senza che nessuno si opponga a questo incantesimo senza futuro.

Ado Franchini