Differenze

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Differenze

La figura professionale del cosiddetto “disability manager” nasce nel mondo delle imprese e si riferisce al “responsabile di tutto il processo di integrazione socio-lavorativa delle persone con disabilità all’interno delle imprese medesime”. Si prevede che questi operi presso la Direzione Risorse Umane di imprese di grandi e medie dimensioni, mentre in aziende meno strutturate, possa agire da consulente esterno
Cosa ha a che fare tutto questo con quanto asserito lunedì 5 novembre 2018 in Consiglio Comunale a Como dall’assessore ai servizi sociali di Como on. Locatelli ?

La suddetta ha risposto alla richiesta avanzata da più parti di ri-avvio della Consulta delle disabilità affermando la sua intenzione di introdurre la figura di un “disability manager”.  In questo modo ha liquidato, in modo sfacciato e con l’annuncio di una improbabile figura che nulla ha a che vedere con le politiche cittadine rivolte alla disabilità, ogni pretesa di riprendere il cammino, avviato da chi l’ha preceduta, di una progettazione partecipata nella costruzione continua della città, riconoscendola abitata da una pluralità di condizioni, di sensibilità e di bisogni.

Assessore, sindaco e giunta hanno semplicemente cancellato l’esperienza delle Consulte del settore Politiche Sociali nelle quali aveva investito la precedente amministrazione. Si trattava di 4 Consulte: in aggiunta a quella della disabilità, per la prima volta la città aveva potuto disporre di una Consulta delle associazioni di “stranieri”, di una delle associazioni di “anziani” e di una delle associazioni che si interessano di “minori”.

Che bisogno c’è di attivare delle Consulte? La risposta è perfino ovvia: ogni condizione “speciale” (come appunto l’essere disabile, straniero, anziano, minore) pone la persona che la “abita” in un punto di vista del tutto particolare, impossibile a chiunque altro. Da lì, e soltanto da lì, con una sensibilità tutta propria è possibile individuare e interpretare particolari criticità, riconoscere e comprendere specifici bisogni che sono spesso causa di sottili ma profonde esclusioni o sofferenze, per lo più ignorate.

Soffermiamoci in prima approssimazione soltanto sulla disabilità, ma il ragionamento si applica pari pari a tutte le altre “condizioni speciali” (come, appunto, l’essere straniero, anziano, bambino).

La disabilità è sostantivo “plurale”: sono date, infatti, molte disabilità tra loro del tutto differenti. L’esperienza del disabile motorio è del tutto altra e inconciliabile con quella del cieco, dell’ipovedente o del sordo (e viceversa) così come quella di chi vive una piccola o grande disabilità cognitiva. Ci sono poi condizioni che meriterebbero una considerazione completamente diversa, perché sovraccaricate di pregiudizi e distorsioni, come ad esempio la sindrome di Down!

A noi è dato di abitare in una città nella quale una piccola straordinaria avanguardia di persone disabili, che ha le sue eccellenze in ENIL (European Network on Independent Living) ed è declinata ad esempio in “Comodalbasso”, ha da alcuni decenni elaborato una proposta, culturale prima ancora che sociale, che ha come faro la Vita indipendente delle persone con disabilità e in tale prospettiva porta avanti una battaglia di civiltà, purtroppo ancora lontana dall’essere vinta. Al centro di ogni riflessione e decisione ENIL pone la “persona” con il suo diritto a una assoluta autonomia nelle valutazioni che riguardano l’interpretazione e le scelte della propria vita.

Tutto ciò è l’esatto contrario di ogni visione paternalistica e buonista, come quella che si riconosce nella abusata espressione “poverino” che già afferma una “gerarchia” classificando quella condizione come “minore” e che porta, in buona fede, ad atteggiamenti che rientrano nella sfera caritativa e del mero sostegno ma non concedono all’altro tutta la libertà di cui ha diritto, incasellandolo in categorie, procedure, e “piani di cura” che diventano galere. Anche le affermazioni recentemente rese pubbliche (riguardanti persone con sindrome di Down e vecchi) attribuite al portavoce del Presidente del Consiglio dicono molto di una pseudo-cultura radicata in molti settori del nostro paese.

Per le situazioni estreme di disabilità gravissima poco si può fare se non massimizzare la tutela della persona, assicurando strutture idonee e personale competente, ma al di fuori di questi casi nulla dovrebbe porre limitazioni al diritto a supporti e sostegni per la piena realizzazione dell’autonomia e dell’indipendenza evitando ghettizzazioni che evocano mondi “separati”, come lo erano i vecchi manicomi.

Per cambiare in profondità lo sguardo sulla disabilità (e sullo straniero, sull’anziano …)  diventa  fondamentale un cambiamento culturale ed educativo. Ciò che va messo al bando è il pregiudizio, in ogni sua forma: è giusto che la persona disabile esiga il riconoscimento di ogni sua capacità, pretenda gli investimenti necessari per dare compimento e valore alle sue diverse abilità, si veda aperto ogni spazio possibile per l’ autonomia e l’indipendenza. In tutto questo si colloca anche il diritto-dovere a concorrere alle scelte che hanno a che fare con la “costruzione continua” della città.

L’assessore con la sua uscita ha reso plasticamente il suo pensiero: una Consulta, che per noi è luogo vivo di partecipazione e di rielaborazione, di pensiero e di esperienze, di espressione di bisogni, di attese e di visioni oltre che di progetto potrà essere surrogata da un improbabile tecnocrate!

 

Al di là della rozza e mediocre volontà di gettare fumo negli occhi degli interlocutori e di voler far passare per competenza ciò che invece è solo superficialità,  l’assessore ha inteso ribadire il proprio stile dirigista e verticistico, che si compiace nello sprezzo dell’opinione altrui e nell’esercizio settario e clientelare del  “Potere”.

Anche in questo caso, del tutto in liea con la mediocrazia culturale dominante, è in scena il mix regressivo di tecnocrazia a buon mercato e di supponente certezza della propria autosufficienza.

Dalle associazioni che componevano le Consulte dei disabili, degli stranieri, degli anziani e dei minori si sono levate richieste di invertire la rotta, di ridare spazio a una visione plurale e partecipata e voce a tutte le condizioni, le sensibilità e i bisogni di chi abitano la “città”: la risposta muove in tutt’altra direzione.