Piazza San Rocco e migranti: esasperare le situazioni e non affrontarle

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Piazza San Rocco e migranti: esasperare le situazioni e non affrontarle

Ciò che accade da qualche tempo in piazza S. Rocco si presta a molte letture, compresa una comparazione con la situazione al parco della stazione dell’estate 2016.
Alcune delle persone che si ritrovano in piazza S. Rocco sono ospiti del centro governativo gestito poco lontano dalla CRI e dalla CARITAS per conto della Prefettura; altre alloggiano di notte nel dormitorio comunale (la cui gestione è affidata a Caritas) nella struttura di via Napoleona, dove sono avviati da “Porta aperta” (altro servizio Caritas da anni finanziato dal Comune); altre sono quelle che trovano da tempo rifugio nell’autosilo del Val Mulini. Lo status giuridico di questi ultimi è probabilmente il più vario: da chi ha perso il diritto all’accoglienza (ma non a permanere sul territorio nazionale) abbandonando un Centro di accoglienza cui era stato destinato (CAS) e ha raggiunto Como sperando di trovare più facilmente la strada per raggiungere i paesi del nord Europa; a chi si è visto respingere la richiesta di protezione internazionale e dovrebbe quindi lasciare l’Italia (e non ne ha né i mezzi né la volontà); a chi ha ricevuto un “foglio di via” e in Italia non dovrebbe più stare; a chi ha eluso ogni forma di controllo ed è quindi giuridicamente un “fantasma”; a chi, infine, il riconoscimento del diritto a una qualche forma di protezione l’ha ottenuto, ma non avendo né un lavoro né una casa non sa dove andare e vive “alla deriva” in un mondo parallelo.
Gli ospiti del Centro Governativo e del dormitorio fruiscono di un controllo sanitario e dell’accesso ai sevizi igienici. Tutti gli altri no.

Dinanzi ad una situazione oggettiva che concerne la tutela igienico-sanitaria dei cittadini tutti, i provvedimenti della nuova amministrazione di Como sono stati improntati a modalità infantili: chiudere l’acqua, rimuovere le panchine, tagliare i cespugli usati, forse, da qualcuno come servizi , come se ciò ne cancellasse i “bisogni”. Nell’estate scorsa i miei primi provvedimenti da assessore alle politiche sociali dinanzi al permanere di persone nel parco antistante la stazione furono l’installazione di servizi igienici con acqua corrente e collegati con gli scarichi fognari (per evitare che il parco fosse trasformato in una latrina a cielo aperto), il rinforzo dei bidoni di raccolta dei rifiuti, l’intensificazione dei passaggi e i continui interventi di pulizia e igiene; con ATS e Croce Rossa fu anche attivato un presidio sanitario a disposizione delle persone che stazionavano in quel luogo. Tutto ciò ha permesso di mantenere monitorata la situazione e di salvaguardare da possibili focolai sanitari i cittadini comaschi e quelli in transito.
Lo strumento di coordinamento delle azioni avviate è stato il Tavolo Permanente, convocato con cadenza almeno settimanale a palazzo Cernezzi in Comune, a partire dall’Alleanza Territoriale per la grave marginalità e i senza dimora (formalizzata pochi mesi prima con capofila il Comune di Como e 6 enti tra cui Caritas e Croce Rossa). Al tavolo sono state accolte, una dopo l’altra, tutte le realtà che via-via si sono rese disponibili a concorrere ad affrontare la situazione. In tal modo furono create le condizioni per prevenire problemi, evitare tensioni ma, soprattutto, l “agibilità politica” per la costruzione di un “clima sociale” all’interno del quale l’associazionismo civico ha avuto modo di esprimere il meglio di sé. Il venir meno di quel riferimento e di quell’azione politica ha fatto sì che quelle condizioni oggi sembrano non esistere più.
Oggi in campo sembra rimasto soltanto un segmento del mondo cattolico, che si prova a sopperire alla mancanza di coordinamento da parte dell’istituzione, sollecitato dal vescovo mons. Cantoni.
Ma anche per costoro sono sorti problemi.
Anche la reazione di alcune famiglie della parrocchia di San Giuseppe all’utilizzo di spazi parrocchiali per la colazione delle persone che stazionano a San Rocco non va né cavalcata né canzonata.
Alcuni sanno che l’ATS, nella primavera scorsa, ha preteso, giustamente, dalla parrocchia di Rebbio alcuni provvedimenti per la tutela sanitaria delle persone, tra i quali spiccano la richiesta di “spazi distinti tra l’ambito di accoglienza/assistenza migranti e l’attività oratoriale per adolescenti”, la definizione “di una tracciabilità degli ospiti per la necessaria tutela sanitaria” e l’indicazione di precise “procedure gestionali in relazione in particolare alla sanificazione ambienti” finalizzate alla tutela sanitaria dei cittadini. Insomma: si vuole e si deve affrontare il problema con serietà, competenza e con il massimo della qualità.
Il nostro paese vanta una storia culturale di sicura eccellenza che ha generato il quadro normativo entro il quale tutti siamo chiamati ad agire. La capacità di risposta a situazioni oggettivamente complesse si deve e si può realizzare all’interno di tali confini.
A chi si rende disponibile ad amministrare la cosa pubblica sono richieste la capacità e l’intelligenza di far fronte a situazioni oggettivamente complesse “per quello che sono” nella realtà e non per quello che si vorrebbe che fossero.