Il comune chiude un nido: cosa dobbiamo sapere

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Il comune chiude un nido: cosa dobbiamo sapere
  • I nidi e i servizi per la prima infanzia: da “servizi a domanda individuale” a “risposta dovuta a diritti essenziali per le famiglie”

Da tempo gli orientamenti di gran parte della politica sono convergenti sull’urgenza di rivedere la classificazione dei nidi come “servizi a domanda individuale”. I requisiti che identificano i “servizi pubblici a domanda individuale” sono indicati nel D.M. 31 dicembre 1983 (emanato in attuazione del d.l. 28 febbraio 1983 n. 55, convertito dalla legge 26 aprile 1983 n. 131) quali attività gestite direttamente dall’ente locale, non sono poste in essere per obbligo istituzionale, sono utilizzati a richiesta dell’utente e non sono dichiarati gratuiti per legge nazionale o regionale.

La legge finanziaria, n. 234 del 30 dicembre 2021, ha imposto ai Comuni di “garantire” servizi-nido dedicati alla prima infanzia con una copertura “minima” del 33% della popolazione di età compresa tra 0 e 36 mesi[1]. Con tale norma diventa difficile sostenere che il servizio nidi non sia “posto in essere per obbligo istituzionale”. Il comma 172 dell’art. 1 della stessa legge n. 234/2021 richiama esplicitamente la Costituzione. “al   fine   di   rimuovere   gli   squilibri    territoriali nell’erogazione del   servizio   di   asilo   nido   in   attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera  m),  della  Costituzione

Altre condivise ragioni spingono verso il superamento dell’idea che i nidi e i servizi educativi per la prima infanzia debbano essere considerati semplicemente “servizi a domanda individuale”: basti pensare all’ormai indiscutibile riconoscimento della parità di genere, all’urgenza di offrire adeguato sostegno alla genitorialità e alla volontà di promuovere supporti educativi e di inclusione fin dalla più tenera età.

I nidi per la prima infanzia sono oggi, a tutti gli effetti, universalmente riconosciuti come strumenti necessari per dare risposta a “diritti essenziali” per le famiglie.

  • La programmazione dei posti nei servizi per la prima infanzia deliberata dalla Giunta del Comune di Como e le finalità previste dal sistema nazionale 0/6 anni

La volontà dell’amministrazione di chiudere due nidi comunali è stata formalizzata e trova motivazioni nella deliberazione della Giunta comunale di Como (n. 66 del 7.3.24).

Tale deliberazione fa necessariamente riferimento anche all’ambito territoriale, il cosiddetto “Piano di Zona” del quale il comune di Como fa parte con i Comuni di Albese con Cassano, Bellagio, Blevio, Brienno, Brunate, Carate Urio, Cernobbio, Faggeto Lario, Laglio, Lezzeno, Lipomo, Maslianico, Moltrasio, Montano Lucino, Montorfano, Nesso, Pognana Lario, San Fermo della Battaglia, Tavernerio, Torno, Zelbio.

La popolazione residente nell’ambito territoriale di riferimento (fonte: “Documento di programmazione sociale 2019-2023” del Piano di Zona) è di 143.630 persone, delle quali 85.543 nella città di Como.

I residenti nella città di Como sono il 59,5 % del totale. Come riportato anche nella delibera della Giunta comunale di Como n. 66 del 7.03.24,  “il Comune è ente capo fila del coordinamento pedagogico territoriale afferente l’ambito di Como al quale aderiscono i servizi per l’infanzia (asili nido e scuole dell’infanzia del Territorio) e il Sindaco di Como esprime (anche nel voto) la maggioranza assoluta all’interno dell’Assemblea dei sindaci del Piano di Zona, organismo istituzionale che ne delibera indirizzi, obiettivi e che ne approva bilancio e ripartizione delle risorse.

Le risorse stanziate dalla citata legge finanziaria per il conseguimento dell’obiettivo sono, quindi, destinate “ai Comuni, in forma singola o associata”, anche tenuto conto “del   bacino   territoriale   di   appartenenza. In regione Lombardia il bacino territoriale è definito dai “Piani di Zona”.

Il “Documento di programmazione sociale 2019-2023” del Piano di Zona cui appartiene il Comune di Como certifica la scarsità di nidi presenti nei Comuni dell’ambito territoriale. Lavoratori e lavoratrici che ogni giorno raggiungono la città per lavoro dai Comuni della cintura cercano soluzioni nei nidi privati del capoluogo.

I posti censiti dall’Amministrazione comunale di Como permettono di superare (anche in virtù del calo demografico) la soglia minima di offerta se riferita alla sola città di Como. Sono invece del tutto insufficienti perché nell’ambito territoriale di riferimento si possa dire disponibile quel “Livello Essenziale delle prestazioni di copertura dei servizi educativi per l’infanzia” fissato nella misura del 33% (Legge di Bilancio 30 dicembre 2021, n. 234).

Dall’analisi dei dati dell’amministrazione risulta che i posti a disposizione nei nidi comunali e privati della città di Como (anno formativo 2023/24) sono 654.

Il servizio sarebbe in linea con ciò che la norma impone se riferito ai soli bambini di età 0-3 anni residenti nel comune di Como che sono 1.582.

Non possiamo tuttavia considerare la città di Como avulsa dall’ambito territoriale di appartenenza.

Il “Documento di programmazione sociale 2019-2023” del Piano di Zona riferisce di 2.960 bambini residenti con età compresa tra 0 e 2 anni nell’anno 2019, corrispondente a 4.440 bambini residenti con età compresa tra 0 e 3 anni.

Il calo della natalità di questi anni è descritto dal grafico seguente (fonte: Comune di Como)

Il grafico registra una diminuzione dei nati dal 2019 al 2023. Si va da 616 a 536, che corrisponde a una riduzione di poco inferiore al 13%.

Se quindi, largheggiando, immaginiamo una diminuzione del 15% possiamo affermare che i bambini in età compresa tra 0 e 3 anni nell’ambito territoriale del Piano di Zona che include il capoluogo sia pari a 3.774. Il “Piano di zona” è dunque chiamato a offrire almeno di 1.245 posti-nido.

Nel territorio del “Piano di Zona” sono presenti ulteriori 228 posti-nido oltre ai 654 della città di Como: 30 a Blevio, 16 a San Fermo, 31 a Tavernerio, 29 a Lipomo, 14 a Laglio, 36 a Cernobbio, 36 nei micro-nidi di Brunate, Torno, Albese e Bellagio e 10 nei nidi famiglia di Senna e Tavernerio, In sintesi:

posti complessivi nell’ambito territoriale:             654 + 228            =    882

Livello minimo posti richiesti.                                   0,33 x 3.774        = 1.245

Per corrispondere all’obbligo posto dalla legge n. 234 del 30 dicembre 2021 il Piano di Zona, comprendente il Comune di Como capoluogo, dovrebbe fornire ulteriori 363 posti-nido.

I “Piani di Zona” hanno l’obiettivo di sviluppare e qualificare i servizi sociali, così da renderli adeguati ai bisogni della popolazione residente e di mettere in relazione tutti i soggetti istituzionali operanti nell’Ambito Territoriale di riferimento.

In questo scenario, nel quale il Comune di Como,  capo fila del coordinamento pedagogico territoriale afferente l’ambito di Como,  ha di fatto tutta la responsabilità che compete a chi detiene la maggioranza assoluta. Non c’è, quindi, posto per la chiusura anche di un solo nido comunale nell’ambito territoriale.

  • Importanza del mantenimento dei servizi comunali già attivi

Nei decenni passati le diverse amministrazioni comunali di Como hanno realizzato strutture e investito risorse nei nidi comunali, hanno favorito e sostenuto percorsi di formazione e di ricerca pedagogica.

Dopo oltre quarant’anni i nidi comunali della città di Como sono solidamente in grado di continuare a svolgere quel servizio educativo capace di rispondere ai bisogni dei genitori, specie delle mamme lavoratrici, alle esigenze e ai diritti dei bambini.

Nel corso di quattro decenni le educatrici dei nidi comunali di Como hanno anche contribuito all’approfondimento della conoscenza dei piccoli al di fuori del loro ambiente famigliare e a mettere in luce abilità sociali e relazionali non conosciute. Un servizio, quindi, che vanta una storia importante e che assicura competenze, garanzie educative e stabilità, qualità riconosciute da tutti coloro che ne sono stati utenti.

La gestione diretta del servizio da parte del Comune, come avvenuta fino ad oggi, è stata garanzia di una continuità che non può essere richiesta ai privati, aziende che possono operare in ogni momento scelte diverse in autonomia.

  • La decisione di chiudere il nido di via Passeri: ingiustificabile e intempestiva

L’annuncio improvviso della chiusura di un nido comunale attivo e senza problemi colpisce le famiglie come una vera e propria violenza. Ha, infatti, generato preoccupazioni e suscitato nelle famiglie una serie di problemi oggettivi che attengono prioritariamente all’organizzazione della vita familiare e alla compatibilità con i tempi di lavoro e di vita.

A ciò si aggiunge la noncuranza per i piccoli utenti, costretti a cambiare gli spazi fisici e, soprattutto, i riferimenti delle educatrici, del personale ausiliario e dei propri pari, costruiti e acquisiti con pazienza e sapienza,

Sconcerta l’indifferenza nei riguardi di tali contraccolpi.

Anche le famiglie che avevano immaginato di poter iscrivere per la prima volta i propri piccoli nel nido di via Passeri sono state costrette a un’affannosa ricerca di altre soluzioni a pochissimi mesi dal rientro al lavoro. Chi abbia sperimentato le problematiche connesse con l’organizzazione della vita familiare in presenza di piccolissimi sa quanto sia importante avere certezze. I mesi passano rapidamente e il ritorno al lavoro esige una soluzione serena e definita.

È qui il caso di ribadire che mai come in questi nostri tempi, caratterizzati da una riduzione della natalità, è apparso chiaro che i bambini non sono un mero fatto “privato”, bensì un vero e necessario “bene” per l’intera comunità che nei modi possibili è chiamata a sostenere l’azione dei genitori. Tutto ciò che attiene alla cura e all’armonico sviluppo della persona fin dalla più tenera età, come asserito da tutta la pedagogia moderna, è “investimento sociale” e rappresenta una forma essenziale di prevenzione e cura. Non reggono, in un bilancio di sistema, le mediocri e miopi economie come quelle che stanno alla radice della volontà di chiudere un nido comunale. Le amministrazioni pubbliche coordinando i loro interventi sono chiamate, responsabilmente e nel modo più efficace, a svolgere la loro parte.

La chiusura di un nido comunale può essere giustificata soltanto in presenza di eventi estremi inattesi che imponessero l’inagibilità della struttura, e non è questo il caso.

Anche la volontà di riorganizzare i servizi non può eludere i nodi evidenziati. I cittadini, al riguardo, hanno già dovuto prendere atto dell’affidamento a personale di cooperative di alcuni servizi a motivo dell’indisponibilità di graduatorie di personale idoneo conseguente alla colpevole mancata predisposizione dei bandi di selezione di personale idoneo per questo settore.

  • Corollario

Nel frangente storico che si caratterizza per l’ormai conclamata crisi climatica anche la distribuzione dei servizi nei quartieri è sempre più una scelta di razionalità. Da alcuni anni le amministrazioni di molte città muovono in questa direzione.

Nell’espressione “citta15 minuti” si riassume bene l’obiettivo: si intende operare una diffusione dei servizi essenziali che ne permetta l’accesso ai residenti con spostamenti a piedi di non più di 15 minuti. All’avanguardia di questa rivoluzione copernicana troviamo Vienna.

La città di Como ha una storia che faciliterebbe il perseguimento di obiettivi simili che, al di là della questione ecologica, permettono di conseguire con la prossimità, la partecipazione e la solidarietà una migliore qualità della vita, per tutti, nelle città.

Il nido comunale di quartiere che si vorrebbe chiuso dopo l’estate è (addirittura!) in una struttura che ospita una scuola dell’infanzia. Non bisogna essere degli scienziati per immaginare la catena di effetti negativi sulle famiglie e sul quartiere.

[1] Il comma 172 dell’art. 1 della legge n. 234 del 30 dicembre 2021 recita.

l livello minimo da garantire di cui al periodo precedente è definito quale numero dei posti  dei  predetti  servizi educativi per l’infanzia, equivalenti in termini di costo standard al servizio a tempo pieno dei  nidi,  in  proporzione  alla  popolazione ricompresa nella fascia di età da 3 a 36 mesi, ed è fissato su base locale  nel  33  per  cento…”.