Sul bilancio 2020 del Comune di Como

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Sul bilancio 2020 del Comune di Como

Siamo chiamati a parlare di bilancio in tempi di coronavirus col rischio di fraintendimenti e stonature, perché nelle situazioni emergenziali i cittadini, si dice, non vogliono polemica ma unità nel perseguire l’obiettivo prioritario.

Correrò questo rischio.

Anche il signor sindaco ha dichiarato nei giorni scorsi che non è il momento di parlare di crisi della sua maggioranza ora che è impegnata a collaborare con altre istituzioni a fronte dell’emergenza sanitaria.
Se a tutto ciò mi sento di riconoscere una sostanza da condividere, credo che la situazione di oggi non ci possa però impedire qualche riflessione che metta a fuoco come gli orizzonti politici non siano affatto neutri. Se come taluni ritengono, l’epidemia può diventare pandemia e interessare buona parte del mondo occidentale, ciò che verrà messo alla prova e stressato è, prima di tutto, il sistema sanitario dei diversi Paesi, che non è fatto solo di personale medico, ma di strutture, modelli organizzativi, allocazione di risorse, scelte di investimenti, governace. In due parole: scelte politiche.
Trascuro, in questo frangente, di preconizzare che cosa potrebbe succedere negli Stati Uniti trumpiani, dove milioni di persone sono notoriamente prive di assistenza sanitaria, perché il modello liberista semplicemente prevede che coloro che non ce la fanno con le proprie forze diventino uno scarto.
In questo nostro paese, nel secolo scorso innervato da istanze sociali, abbiamo ereditato un sistema sanitario universalistico e solidale, dal quale nessuno è escluso. Oggi si può meglio intuire quanta civiltà e quale valore ciò rappresenti. Soprattutto è bene sottolineare come ciò sia reso possibile dalla scelta di imputare i costi sanitari sul conto della collettività e non di coloro che, per accidente, si imbattono in situazioni indesiderabili.
Le scelte politiche, quindi. Quelle operate negli anni recenti da Regione Lombardia mostrano ora le criticità spesso sottolineate: la riduzione dei posti letto, la scelta di tarare il servizio ospedaliero sul bisogno storico e sulle sole acuzie espellendo la degenza ma, soprattutto, il modello aziendale. Quest’ultimo è figlio della prospettiva privatistica che ha innescato anche all’interno della sanità pubblica l’affidamento di servizi, anche importanti, a cooperative esterne i cui lavoratori, sui quali si gioca la partita del risparmio, operano anche con minori tutele anche per quanto riguarda la “sicurezza sul lavoro”, in luoghi che, stando ai dati, sono caratterizzati da una più alta probabilità di contrarre infezioni.
Non si può, oggi, non riflettere sui modelli politici e sulle conseguenze di tali scelte.
Anche questa amministrazione ha operato una scelta di cessione di sovranità a un’azienda speciale, in una logica di aziendalizzazione dei servizi alla persona. Ma col paradosso, confermato giovedì dall’assessora, di un’azienda che non eroga alcun servizio, che assorbe risorse e personale per gestire, per conto del comune di Como, solo gli affidi, quell’orientamento al lavoro oggi consegnato ai cosiddetti navigators e il reddito di inclusione, superato dal reddito di cittadinanza e in capo all’INPS. Insomma uno spreco inutile che però ha tolto il ruolo di capofila alla città di Como, quella stessa cui recentemente una mozione del consigliere di F.d.I. voleva riconsegnare il ruolo di fulcro di una possibile “Grande Como”. Ciò è accaduto per pochezza, per acritico sostegno alle indicazioni fatte proprie da un’ex assessora che qui nessuno rimpiange.

Il tempo del coronavirus è un’occasione per riflettere sul fatto che non esiste soltanto la logica della concorrenza e del mercato: quella può andar bene quando si parla di scarpe, abiti, automobili. Ci sono temi che vanno trattati nella prospettiva della comunità, della corresponsabilità, della solidarietà.

A ciò si aggiunga che proprio tra gli sbandieratori delle magnifiche sorti e progressive delle destre liberiste, si levano voci per chiedere che il governo stanzi risorse per far fronte agli effetti economici conseguenti all’emergenza che stiamo affrontando. Conseguenze che non sono distribuite in modo uniforme. Le risorse richieste, ricordo, sono dei cittadini tutti e sono rese disponibili da tutti noi che paghiamo le tasse. Ora questa solidarietà è invocata.
Chi immagina un mondo sempre più trumpiano e chiede di abbattere il carico fiscale ai redditi più alti, carico fiscale che nel nostro paese, per il cittadino onesto è davvero gravoso, chi non fa della solidarietà nei confronti degli altri un valore primario …e chi premia col voto queste posizioni è disposto ora a rinunciare a ogni pretesa di aiuti dalla cassa comune?

Veniamo alla nostra città, ai documenti del bilancio, passaggio che si pone come verifica della rotta di questa navigazione, che ormai ha superato metà del tempo a sua disposizione.
Questa deliberazione implica l’approvazione anche del Documento Unico di Programmazione che il legislatore, saggiamente, volle sostituire alla cosiddetta Relazione previsionale e programmatica, per restituire al Consiglio comunale la sua reale funzione, che non è soltanto quella di controllo e verifica, ma anche quella di programmazione e proposta.
Sto attendendo una risposta del Prefetto, che ho interpellato circa la modalità con la quale la Presidente del Consiglio Comunale e il Segretario Generale hanno voluto interpretare in forma assoluta l’applicazione di un Regolamento comunale, certamente inadeguato alla nuova normativa, finendo col limitare, a mio avviso indebitamente, le prerogative dei consiglieri, negando l’emendabilità del documento stesso.
L’approvazione del DUP è, quindi, per quanto mi riguarda, viziata e oggi invotabile perché sub-iudice, dal momento che, in occasione della sua proposizione, furono dichiarate inammissibili, a mio parere pretestuosamente, alcune proposte emendative.

Nel merito del documenti è necessaria una breve riflessione politica che pretende una piccola premessa. Nelle domande da me poste c’è stata la richiesta dei dati relativi alla gestione del calore. A parte il permanere di tre caldaie a gasolio, che rappresentano un vero e proprio insulto alla città, oggi del tutto inaccettabile, i dati sono lusinghieri.
Perché lo dico?
Perché quel bando non lo fece l’amministrazione Lucini. Fu chiuso in extremis dall’amministrazione di centrodestra che la precedeva.
Quando fummo chiamati ad amministrare, alcuni sostennero che il bando dovesse essere annullato e fermato. Noi, in effetti, avevamo in mente un bando diverso. Il sindaco mi chiese di approfondire. Io ed un ingegnere energetico studiammo e valutammo il bando. Concludemmo, col parere ostile di molti, che i risultati raggiungibili con quel modello fossero comunque apprezzabili (seppur diversi dai nostri). Per questo, nell’interesse della città, si decise di raccogliere il testimone, proseguire senza azzerare tutto, di modo che si potesse arrivare in porto senza far perdere altri anni alla città su un’urgenza così cogente che ha a che fare con l’aria che respiriamo oltre che con le bollette energetiche. I dati ci confermano che è stato bene agire in quel modo.
Voi, invece, avete per lo più distrutto, fermato o semplicemente rallentato in nome di una diversa qualità che stiamo ancora aspettando di vedere. Ciò, in qualche caso, ha significato la paralisi.
Senza voler essere esaustivo, mi limito a qualche esempio: piano del traffico, giardini a lago, campo di via Regina, ciclabile della via dei pellegrini, progetto “strade verso casa” (quest’ultimo, che vive grazie a risorse ottenute da chi vi ha preceduto su un bando del 2016; è stato fermo per anni e per non dover restituire i fondi, si è dovuta ottenere una proroga al giugno del 2020), forno crematorio.

Veniamo agli insuccessi e, quindi, ai problemi. C’è, infatti, una definizione del termine “problema” che molto amo.
Essa dice che se nel tentativo di raggiungere un obiettivo si è sperimentato almeno un insuccesso, allora lì c’è un problema. È chiaro, per contrasto, che se non c’è insuccesso…. allora non c’è problema!.
Partendo da questa definizione vorrei indurvi a riflettere che la serie conclamata di insuccessi è da correlare ad altrettanti problemi che, come tali, non andrebbero solo evocati, ma portati a soluzione.

La consigliera Mantovani ha rilevato come problema una certa frequenza di criticità nei bandi. Le possiamo dare torto?

Abbiamo presentato una proposta di delibera di indirizzo sul Trasporto Pubblico Locale da oltre 100, dico cento, giorni e nell’ultima riunione dei capigruppo, malgrado precedenti sollecitazioni, ci viene detto che l’ufficio non ha ancora fornito un parere. Questo non è un problema?
I tempi per avere risposta ad accesso agli atti, che dovrebbero addirittura essere forniti ad horas, devono essere sollecitati e, come è capitato a me, raggiungono anche i 20 giorni. Questo è un problema.
I cittadini non autosufficienti lasciati senza una tempestiva risposta… è un problema.
Qualcuno potrà dire che sono problemi di organizzazione della macchina amministrativa. Esatto!

Ma si può governare una macchina complessa senza averne contezza? Questo è il problema che non siete stati in grado di affrontare. La macchina amministrativa non è rallentata. Di più. Dirigenti e tecnici preparati e competenti se ne sono andati.

Farsi qualche domanda no ?

Veniamo alle scelte politiche.
Nel momento in cui la natalità e la genitorialità vanno massimamente sostenute, si scopre che non avete graduatorie di educatrici cui attingere e vi orientate alla chiusura di un nido comunale. Questo quando in tutto il Paese si sottolinea che questa è una priorità. Questo è un problema generato da voi, per scelte a ben vedere minimaliste e col malcelato obiettivo della privatizzazione. Tema che ho evocato in apertura.

Avete approvato un regolamento di Polizia locale dichiarando che questo sarebbe stato lo strumento capace di risolvere il tema di quelle che vorrei chiamare “povertà indecente”, perché la città non può non sentirsi interpellata. Il portico di san Francesco non è mai stato nelle condizioni attuali. Lo dico con dispiacere per ciò che accade, ma questa è la certificazione del fallimento del vostro modello politico. È un vostro problema.
Il consiglio comunale ha votato una proposta di soluzione temporanea con un nuovo dormitorio. Ci sono state disponibilità di molti, ma non si sentono che parole. Le sollecitazioni rimbalzano su di voi, non c’è un euro stanziato, ma ci si starebbe lavorando (e bambini li porta la cicogna!). Questo è un problema.

Intanto nessuno spazio alle consulte, tre delle quali esistono solo sulla carta, mentre quella forse più delicata, che ha a che fare con l’integrazione e costituita dalle associazioni di stranieri è stata cancellata dall’orizzonte. E pensare che il programma di mandato nel capitolo “La città condivisa” recita testualmente: “La partecipazione e il coinvolgimento, pieno e attivo, della cittadinanza per l’individuazione delle scelte strategiche sul futuro della città e delle politiche che concorrono ad elevare la qualità della vita sono alla base del metodo di governo di questa amministrazione“.
Perso nelle nebbie, senza che nulla sia stato riferito, il progetto del valore di 1,5 milioni finanziato da Fondazione Cariplo e lasciatovi in eredità sul tema della giustizia riparativa, la prevenzione del bullismo e delle devianze giovanili.
Prendiamo atto che la struttura di via Conciliazione, destinata alle emergenze abitative dei nostri concittadini, ovvero dei senza dimora per diversi motivi, resta chiusa. La sistemazione di via Tibaldi è stata messa sul binario morto (chi ha orecchi per intendere, intenda) cosicché la struttura di via Sacco e Vanzetti continua ad essere utilizzata in modo improprio dalla prefettura e non per le nostre emergenze abitative.

Il primo bando per alloggi di edilizia residenziale pubblica dall’ottobre 2016 è stato nel dicembre scorso. Ci sono volute due mie richieste a vuoto prima di poter veder varato il piano con ritardo di oltre 5 mesi dal termine indicato da regione.

Immagino che tutti voi sappiate quanti alloggi sono stati resi disponibili dal comune di Como dopo tre anni a due mesi. Ve lo ricordo: 32, ovvero 10 appartamenti resi agibili all’anno, col risultato per molte persone di veder sfumare una speranza. Ma quanti sono gli alloggi del comune non assegnati? Ve lo dico io: il 15 ottobre la bellezza di 285. Questa la sintesi delle politiche di valorizzazione del patrimonio e la risposta alla domanda di casa dei cittadini espulsi dal mercato.

Uno sguardo ai grandi progetti.
Messi in un angolo la ciclabile e i giardini a lago, abbiamo sentito molte parole, come riguardo al Peba.
Per Ticosa, l’operazioni di marketing sembra essersi trasformata in un boomerang. Dobbiamo infatti registrare due dati. Il primo riguarda le reazioni non positive che il masterplan ha ricevuto da autorevoli commentatori sia per i contenuti strettamente urbanistici sia per quelli architettonici. Ciò dovrebbe suggerire di trasformare in fatti concreti la più volte affermata volontà di procedere in modo partecipato. Nel capitolo “Rigenerare la città” il programma del sindaco recitava così “l’urbanistica che vorremmo è un dialogo tra l’architettura e i cittadini per una progettazione polifonica che, a partire dalla elaborazione condivisa dei temi, consenta a progettisti e investitori di esplicare la loro attività nella tessitura di trame comuni, senza appiattire la varietà delle scelte ma promuovendone la diversità e la molteplicità”. Champagne!
Il secondo riguarda un dato: né il DUP, né il programma di mandato, né altra delibera del Consiglio comunale contengono alcuna indicazione che possa supportare,  anche vagamente, l’ipotesi, che bonariamente definirei stravagante, di trasferire in quell’ambito gli uffici del comune.

A parte l’ordinaria amministrazione e, oggi, la dovuta partecipazione all’emergenza sanitaria regionale, ciò che questi documenti propongono mi appare ancora una volta orientato al solo galleggiamento.

Si fa fatica a immaginare quale impulso possa averne la città, che cosa sarà consegnato a chi verrà dopo. Nessuno di voi pensa che evocare il giro di Lombardia che viene a Como pressoché da sempre o il beach volley sia indicare il futuro. Le grandi epocali questioni sono totalmente assenti: alla fine del terzo anno di mandato è davvero troppo poco.

Oggi capiamo che un territorio come il nostro non può dipendere dal solo brand turistico. L’imprevedibile in un attimo ha generare difficoltà non messe nel conto. Essere responsabili richiede che sia messo in campo coordinamento per far lievitare una visione di futuro. Non piace a nessuno vedere la città trasformata in un cantiere permanente di lavori mal coordinati, come quotidianamente ci accade.

Tutti si aspettano l’avvio di nuovi processi in grado di generare nuovo lavoro e lavoro nuovo, cultura e benessere diffuso.
Questo nei documenti presentati non c’è.

È probabilmente vero che in nulla ci si può improvvisare.